CERCA NEL BLOG

giovedì 2 gennaio 2020

La città incantata, il film da premio Oscar di Hayao Miyazaki



TITOLO: La città incantata, il film da premio Oscar di Hayao Miyazaki
AUTORE: Valeria Arnaldi
CASA EDITRICE: Ultra
PAGINE: 190
COSTO: 23,5 €
ANNO: 2019
FORMATO: 25 cm X 17 cm
REPERIBILITA': on line
CODICE ISBN:9788867768950


Undicesimo titolo della collana "Ultra Shibuya" e settimo personale di Valeria Arnaldi.
Sono abbastanza prevenuto verso i libri della collana "Ultra Shibuya".
Il perché io sia diffidente verso i contenuti di questi libri l'ho scritto più volte nelle altre dieci recensioni:
Ultra Shibuya
Quindi la solfa della mia recensione non cambierà:
quantità strabordante di inutili immagini (senza didascalie); poco scritto; informazioni prese dal web (wikipediate); assenza di bibliografia e sitografia; autori che non paiono esperti o appassionati di animazione giapponese; lunghe frasi ad effetto supercazzola; rapporto prezzo/contenuto assai scarso.
Considerando che dei sette scritti a firma Arnaldi ben quattro hanno come tema Hayao Miyazaki o le sue opere, nasce, ormai, una ulteriore (mia) lagnanza: la ripetitività dei temi trattati.
Sul rischio copia/incolla ci tornerò poco sotto.

Questa volta delle 190 pagine totali ben 55 (quasi il 30%, quindi 7€ solo di immagini...) hanno immagini a piena pagina, ergo scritto pari a zero.
Altre 102 pagine ospitano una immagine di varia grandezza, che può occupare anche gran parte della pagina.
Sono 33 le pagine scritte interamente, mentre le restanti, fatte le debite sottrazioni, non contengono immagini, ma non riempiono completamente la pagina.
Rispetto al precedente saggio della Arnaldi (Shalanda) c'è stato un netto peggioramento del rapporto pagine/parte scritta, ed un ritorno alle medie degli altri libri della "Ultra Shibuya".

A pagina 7, la prima pagina scritta del saggio, si riportano dei ricordi di Miyazaki (presenti in tutto il saggio e quasi mai con citazione delle fonti), in cui il regista parla di una sua esperienza alle terme da bambino:
"Sarà lo stesso regista a raccontarlo dopo aver terminato la realizzazione del lungometraggio: Ho dei ricordi molto nitidi di "yuyas" (virgolettato nel libro) della mia infanzia".

Ho cercato sul web questa parola "yuyas", ma ho trovato solo "yuya", che è sempre riferita ai bagni o alle terme, ma "yuyas" resta un termine di cui non ho trovato traduzioni.
Riporto questo mio dubbio e non altri, perché era il primo che ho letto, a titolo di esempio generale.



Problematica ripetitività.
Sia chiaro, è ovvio che si deve descrivere la biografia del regista, le informazioni di base siano sempre le stesse, ma quando una singola autrice scrive quattro titoli (in 5 anni) sullo stesso tema, capita di rendersi conto che si sta rileggendo per larghi tratti del libro parti di informazioni presenti negli altri tre.
Esistono altri saggi su Miyazaki o capitoli in saggi più generalisti, ma essendo scritti da più persone, una volta espletate le formalità sulla biografia, le analisi variano, in quanto ognuno/a dei diversi autori ha sensibilità e titoli di studio differenti.
Qui ci troviamo di fronte ad una autrice che scrive quattro saggi su Miyazaki, umanamente impossibile non ripetersi più e più volte.
L'appunto che faccio riguardo agli autori della collana che parrebbero non appassionati di anime (unica eccezione Stefano Tartaglino), basandomi sulla loro biografia e su come e cosa scrivono nei loro libri, mi rendo conto che in parte è poco sensato. Anche una persona non appassionata può scrivere un libro su anime e manga.
Quando, però, si scrivono così tanti titoli sugli anime, diventando la saggista più prolifica in Italia, credo superando anche Marco Pellitteri (che cominciò a scriverne più due decenni fa), mi sorge la curiosità di sapere se Valeria Arnaldi sia una vera fan dell'animazione giapponese.
Ha la casa piena di VHS, DVD, BR, manga, artbook, saggi, pupazzetti e merchandising?
Frequentava le fiere del fumetto prima di diventare saggista?
Andò a vedere al cinema "La città incantata" quando uscì nelle sale italiane nel lontano 2003?
Io trovai un cinema che lo proiettava nel mese di agosto in via Torino a Milano (l'Eliseo), faceva un caldo boia, in sala non eravamo neppure in dieci. Fu il primo film di due in totale (l'altro Totoro) che andai a vedere da solo (il massimo della tristezza è andare al cinema da soli...), ma pur di vedere Miyazaki sul grande schermo feci pure questo.
Mi chiedo se gli autori della collana "Ultra Shibuya" abbiano il medesimo pregresso da semi otaku come il mio e di quasi tutti gli altri saggisti italiani, da quello che leggo ho spesso l'impressione che non sia così.
L'idea che mi sono fatto riguardo a questa collana "Ultra Shibuya" è che sia nata solo per vendere copie, non nasce né da passione né vuole fare una analisi saggistica, ma neppure essere un semplice ricordo nostalgico (in senso buono).
La casa editrice ha trovato un tema che gli permette di vendere copie (buon per loro), e lo sfruttano, in parte come successe per le collane "I love anime" "Japan Files" della Iacobelli, i cui scritti erano affidati, però, a saggisti con un solido background sulle serie e i personaggi che trattavano.



A pagina 27 e 28 (io ho unito le due parti interessate) c'è un buon esempio di ciò che non mi convince in questi libri, cioè concetti magari non errati, ma comunque non corretti o precisi.
Tralasciando la velocità biografica su Miyazaki, che passa dal 1969 al 1979 in poche righe, un non appassionato di anime, leggendo che il regista "appose il suo segno in alcune serie poi divenute cult" come "Conan il ragazzo del futuro", mai immaginerà che quella serie è totalmente sua.
Sembra che il contributo di Miyazaki alle serie animate di Heidi, Marco e Conan fu il medesimo... ma non si poteva perdere due righe in più per specificare che di "Conan il ragazzo del futuro" Miyazaki fu l'autore, lo sceneggiatore e il regista?


In un capitolo si parla del lavoro, in quanto Chihiro chiede di essere impiegata nelle terme.
Mi chiedo che nesso ci sia tra i vergognosi campi di internamento statunitensi per i nippoamericani durante la seconda guerra mondiale  e i campi di prigionia giapponesi in cui si praticava il lavoro forzato fino alla morte.
Più che altro non vedo il senso di citare i campi di internamento americani in un saggio su "La città incantata".



C'è poi il capitolo "Palazzo delle prove, casa del piacere", in cui si parla di prostituzione infantile...
Non è la prima volta che leggo di connessioni tra la trama del film e la prostituzione minorile nel Giappone fino al dopo guerra, presente anche in bordelli/bagni, e ne ho trovate sul web cercando di capire da dove provenissero le teorie esposte in questo capitolo.
A mio avviso, però, si esagera non poco quando si arriva a vedere nello spirito del ravanello che entra in ascensore con Chihiro la figura di un uomo che anela la verginità della bambina (pagina 73).
Chiaramente ognuno vede in una trama ciò che vuole, ma a me è parsa una forzatura.
A questo punto entra in scena, per quanto mi riguarda, il bagaglio di conoscenze nato da una vita a guardare "cartoni animati giapponesi", cioè "l'essere appassionati".
Nelle serie e nei film di Miyazaki ci sono mai stati personaggi femminili ammiccanti?
Miyazaki ha mai solleticato il pubblico con scene equivoche?
A me pare proprio di no... tutti gli amori dei film di Miyazaki sono giusto accennati, al massimo un bacino casto... le eroine del regista sono tutto tranne che sensuali...
Basta pensare alla prorompente Fujiko Mine della serie di "Lupin III" in giacca verde, quando Miyazaki ne eredità la regia, la donna perde la carica erotica che aveva sotto la guida di Masaaki Osumi.
La scena in cui Fujiko subisce la tortura del solletico nella prima puntata, sarebbe stata pensabile con Miyazaki alla regia?


Mi chiedo che senso abbia inserire in un libro su "La città incantata" una immagine come quella di destra... a sinistra il ravanello maniaco sessuale.



Nessun commento:

Posta un commento