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giovedì 6 settembre 2018

Diplomatici allo sbaraglio




TITOLO: Diplomatici allo sbaraglio
AUTORE: Ettore Baistrocchi
CASA EDITRICE: Guida Editori
PAGINE: 205
COSTO:10€
ANNO: 1983
FORMATO: 22 cm X 14 cm
REPERIBILITA': on line
CODICE ISBN: 8870423360


Il libro di Ettore Baistrocchi, che nel 1942 era Console Generale d'Italia a Osaka-Kobe, ci racconta cosa avvenne alla delegazione dell'ambasciata italiana in Giappone quando, l'8 settembre 1943, si rifiutarono di aderire al governo di Salò, e quindi non essere più alleati del Giappone.
E' questo un piccolo fatto storico di italiani nella terra del Sol Levante che non conoscevo. Non che nelle 200 pagine dello scritto siano riportati chissà quali segreti, ma, tranne in alcune sue parti, è stato comunque interessante leggerlo.
Semplificando, come esiste la narrativa di viaggio, questa potrebbe essere una narrativa di prigionia, anche se il termine “prigionia” mi pare un po' esagerato, viste le condizioni dei 47 italiani. Anche i termini “campo di concentramento” o “internati” presenti nel libro mi sono sembrati non corretti, direi che il personale dell'ambasciata e le loro famiglie vissero come dei “confinati”.
E qui viene la parte del libro che ho trovato un po' stucchevole, cioè quando l'autore si lamenta delle condizioni di vita nei due luoghi in cui vennero confinati. Non dico che vivessero bene, ma, per esempio, non è riportata la morte di nessuno dei “prigionieri”, e chiunque abbia letto qualcosa su come i giapponesi “accudivano” i loro prigionieri, si rende conto che la vita dei 47 “ronin italici”, fu comunque privilegiata.
Bisogna partire dal presupposto che Baistrocchi e compagni erano abituati ad una vita di lussi (alcuni provenivano da famiglie nobili), quindi dover zappare la terra o fare il bucato, per quanto messi in condizioni non agevoli, erano attività che loro consideravano un dramma. Si legge dell'autore che si lamenta di avere le mani piene di calli e tagli per il lavoro manuale... c'è gente che fa lavori manuali tutta la vita...






Se, per esempio, al loro posto fossero stati messi altri italiani di ceto più umile, non credo che questi ultimi avrebbero trovato poi tanta differenza dalla vita che facevano tutti i giorni nel 1940...
Va precisato, però, che i confinati, specialmente i bambini del campo, soffrirono di malnutrizione e vari malanni.
 Ci sarebbe poi da fare tutti il discorso sul fatto che, fino all'8 settembre 1943, tutti questi funzionari dello Stato fascista si prendevano senza fiatare utili e vantaggi della loro posizione, mentre, altri italiani, avevano fatto scelte diverse, pagandone care le conseguenze.
Tolti questi due aspetti, lo scritto risulta comunque interessante, anche se io speravo di leggere maggiori informazioni sull'interazione tra diplomatici italiani e le guardie giapponesi, di cui l'autore parla sempre male. Si vede che ovunque i giapponesi vennero messi a fare da guardia a dei prigionieri, il loro comportamento risultò, come minimo, meschino, ed in casi più tragici di questo, divenne mostruoso. Comunque questi racconti sono presenti, ma solo di contorno alla cronaca della vita dei protagonisti.
Il libro inizia con il racconto della partenza per il Giappone, la vita diplomatica nella nuova realtà, fino al momento in cui i giapponesi, in fregio al diritto internazionale, rinchiusero i 47 italiani facenti riferimento all'ambasciata italiana.
La parte più corposa del libro. Ovviamente, contiene i racconti del “confinamento” nei due luoghi in cui vissero, Tamagawa (7 m da Tokyo) e Kemanai (400 km da Tokyo).
A Tamagawa vissero per quasi tutti i due anni del loro confinamento, ma nel giungo del 1945, a causa dei sempre più potenti bombardamenti alleati, vennero spostati a Kemanai, fino alla loro liberazione.
Nel libro sono presenti alcuni capitoli “riempitivi”, in cui l'autore si sofferma su alcune figure storiche, tipo la spia Sorge o il generale Mac Arthur. Il capitolo su Sorge prende spunto dal fatto che uno dei confinati, quando vivevano ancora liberi in Giappone, venne arrestato ed interrogato per tre giorni come sospetta spia.
Ci sono anche accenni alla vicenda, molto più drammatica, che vissero i Maraini, e che venne a conoscenza di questi 47 italiani durante il loro confinamento.
Per quanto la vita di Baistrocchi e soci potesse non essere agevole, non vissero mai in pericolo di vita, ne è un esempio il racconto di quando uno di loro riuscì ad inviare una lettera di protesta al ministero degli esteri giapponese(!) per denunciare la loro condizione di vita e di “prigionia” (completamente fuori legge per dei diplomatici). I giapponesi non la presero bene, la sanzione per i colpevoli furono 5 giorni chiusi in stanza a pane ed acqua, e la punizione per la comunità fu l'eliminazione del “Japan Times”...







Quando si trattò di evacuare gli italiani da Tamagawa, i giapponesi non imposero la decisione, ma chiesero il loro consenso, forse le autorità nipponiche già si immaginavano dopo la guerra a dover rispondere di aver confinato dei diplomatici, che venne solo dopo che i giapponesi accettarono di trasportare anche tutte le casse coi loro beni, centinaia di casse!






Dato che mi sono permesso di criticare alcuni tratti del libro, mi pare giusto riportare la premessa dell'autore.







Per quanto i 47 ronin italici potessero considerare drammatica la loro vicenda, non mi ricordo di altri "prigionieri" di giapponesi che si fanno fotografare tutti assieme, anche perché tutti vivi non ci arrivavano di certo...






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