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sabato 3 maggio 2014

Da Pearl Harbor a Okinawa, la sconfitta del Giappone



TITOLO: Da Pearl Harbor a Okinawa, la sconfitta del Giappone
AUTORE: Tameichi Hara
CASA EDITRICE: Edizioni Res Gestae
PAGINE: 324
COSTO: 19€
ANNO: 2014
FORMATO: 21 cm X 14 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di Milano
CODICE ISBN: 9788866970705

Inizio con una (non) piccola premessa sulla gestione di questo titolo da parte della casa editrice. Quando si legge un libro penso che sia fondamentale (lo è per me) capire quando il libro è stato scritto, specialmente per un libro di carattere storico. Scrivere della seconda guerra mondiale nel 1951 è diverso che farlo nel 2011 o nel 1970, il lettore che conosce la data in cui è stato scritto il libro potrà valutare se l'autore aveva o meno delle fonti storiche autorevoli su cui fare affidamento.
Anche io avevo capito che l'autore del libro aveva partecipato alla seconda guerra mondiale (o come la chiamano i giapponesi, “la guerra del pacifico”), ma quando scrisse questo libro?
Nella prefazione del libro non si capisce neanche quando questa sia stata scritta (la prefazione), parrebbe contemporanea, in fondo se non viene specificato il contrario è ovvio considerarla tale. Il dubbio si esaurisce quando, sempre nella prefazione, si legge che chi scrive si sta recando allo stand dell'Unione Sovietica alla fiera del libro di Francoforte. Aggiungo che come anno di stampa sul libro è riportato il 2014, nessun accenno che sia una nuova edizione di una pubblicazione passata, ma quando fu pubblicato la prima volta questo libro in Giappone? E quando fu tradotto in lingua inglese e poi per l'Italia?
Grazie a Wikipedia scopro che Tameichi Hara pubblicò “Japanese Destroyer Captain” (titolo inglese del libro) per gli Usa nel 1961, ma non ho svelato il mistero sulla data di pubblicazione in Giappone e in Italia.
Ma sarebbe costato così tanto alla casa editrice, non dico fare uno straccio di prefazione nuova , ma almeno specificare quando il libro venne pubblicato in Giappone e in Italia. Capisco risparmiare, però costa 19 euro, non 9...
Ok, niente prefazione nuova, ma almeno uno straccio di ndice dei capitoli, no? Neppure questo.
Concludo le mie critiche sulla pubblicazione con il carattere usato per la scrittura, ha senso usare un carattere minuscolo per poi lasciare vuoti sulla pagina più di 2 cm e mezzo su tre lati e 3 cm sopra?
La quarta di copertina.



Il prologo del libro è scritto da Hara, comandante di cacciatorpediniere della marina da guerra imperiale. Nel prologo Hara parte dalla fine, il suo ultimo viaggio di scorta alla super corazzata Yamato, nella missione suicida finale, che termina col suo affondamento da parte dell'aviazione Usa il 7 aprile 1945.
Lo scritto di Hara è una testimonianza di alcune battaglie e del contesto in cui si svolsero, ma quando l'autore si lancia in rievocazioni storiche generali prende il sopravvento la tendenza giapponese a riscrivere le parti più sanguinose, sanguinose per chi subì l'invasione giapponese, omettendo un certo numero di particolari. E qui che ritorna il discorso sul conoscere la data di pubblicazione originale, certe sue considerazioni su Nanchino non sono accettabili sapendo che negli Usa il libro fu tradotto nel 1961.
Comunque Hara non lesina le critiche agli alti ufficiali della marina, ed anche a suoi colleghi comandanti, per il comportamento in guerra e le scelte errate che fecero.
Spesso L'autore si rivolge direttamente al lettore occidentale o americano, questo implica che la nostra traduzione italiana provenga da quella anglosassone, in una sola occasione si riferisce alla pubblicazione giapponese, che quindi immagino fosse in qualche misura differente, ipotizzo meno accettabile agli americani.

Parte uno: Sono nato samurai

Tameichi Hara racconta i propri natali: nato il 16 ottobre 1900, i genitori sono agricoltori che faticavano a sostenere la famiglia, il nonno (Moichiro Hara) fu un samurai del feudo di Takamatsu (il cui daimyo era Yorichika Matsudaira), finché l'imperatore Meiji non elimino le caste e modernizzò forzatamente la nazione. In punto di morte il nonno di Hara (che ha solo sei anni), dandogli la sua spada da samurai, gli disse (pagina 18):
Tamei, è tua. Ascolta adesso attentamente le ultime parole di tuo nonno. Tameichi Hara! Sei figlio di samurai e non dovrai mai scordarlo. Il samurai vive in modo di essere sempre pronto a morire. Non interpretare male questo insegnamento. Non cercare mai una morte facile, perché ciò sarebbe contrario al vero spirito del Bushido. Ti ho raccontato spesso di valorosi samurai che hanno affrontato gravi stenti per portare a termine la loro missione. Cerca di fare come loro. Sii sempre in guardia e raddoppia sempre i tuoi sforzi per migliorarti”.
Son cose da dirsi ad un bimbo di sei anni?! Ma, soprattutto, chi mai potrebbe ricordarsele?
Hara entra all'accademia navale di Eta Jima il 26 agosto 1918. Subito viene picchiato duramente da uno studente del terzo anno, che trova una scusa per punirlo, e la cosa si ripete per tutto il primo anno di accademia. Le punizioni corporali tra i militari erano la norma, incentivate dai superiori per rendere obbediente la recluta, e furono una delle cause del comportamento criminale dei soldati nipponici verso i prigionieri e verso i civili delle zone conquistate. In fondo se un giapponese aveva il diritto di percuotere un altro giapponese per motivi disciplinari, cosa poteva impedire ad un figlio di una razza eletta di accanirsi contro un barbaro?
Hara ammette che quei trattamenti verso le reclute erano inutili e brutali, e durante il suo comando li ha sempre impediti. Si diplomò il 16 luglio 1921, e il suo primo imbarco da cadetto fu sull'incrociatore Izuma. Racconta che la vita sulla Izuma faceva rimpiangere quella a Eta Jima. Proseguendo nel racconto dei suoi incarichi e dei fatto storici che si susseguivano incappa anche lui in Nanchino, (pagina 33):
Il suolo cinese era allora conteso fra due maggiori generali, Ciang Kai-scek a sud e Ciank Tso-lin a nord. Le forze di Ciang Kai-scek ebbero la prevalenza all'inizio del 1927 e occuparono Nanchino il 24 marzo. Le forze di Ciang Kai-scek commisero là un errore capitale. E' un fatto storico, sebbene ormai eclissato dai seguenti avvenimenti da parte giapponese, che le truppe di Ciang Kai-scek saccheggiarono Nanchino, irruppero nei consolati e molestarono i civili giapponesi, inglesi, americani e francesi.”
Quindi i cinesi nel 1927 “molestarono” i civili stranieri, mentre non si capisce bene quali fossero gli atti giapponesi commessi in seguito, su cui Hara glissa con un “dai seguenti (nel senso di successivi) avvenimenti da parte giapponese”. Negli anni 50 si era a conoscenza del massacro di Nanchino ad opera giapponese in Giappone? Si, quindi Hara fa l'indiano, anzi, “il giapponese”...
Hara racconta anche il suo matrimonio combinato (omiai) con la moglie.
Per un giapponese dell'età di Hara (ma direi anche di oggi) il periodo storico 1931/1937 in Cina è sempre molto confuso, infatti si lancia in una mini riscrittura storica.
Poche righe, invece, sono riservate al tentativo di colpo di stato dei militari il 26 febbraio 1936, ma l'autore scrive una cosa che i difensore a spada tratta del povero imperatore Hirohito che non contava nulla dovrebbero leggere (pagina 42):
Sua Maestà l'Imperatore ordinò alla marina di schiacciare la ribellione.”
Quando gli faceva comodo Hirohito aveva il coraggio di schierarsi contro l'esercito, e l'esercito obbediva, l'avesse fatto più spesso...

Parte due: Da Pearl Harbor a Guadalcanal

Il secondo capitolo inizia col racconto di Hara della riunione del 9 ottobre 1941 convocata sulla nave ammiraglia Nagato, alla fonda ad Hiroshima, durante la quale il l'ammiraglio comandante in capo Isoroku Yamamoto avvertiva gli ufficiali che la guerra contro gli Usa era vicina.
Hara non partecipa con la sua nave all'attacco di Pearl Harbor, ma è dislocato nelle Filippine. Racconta le operazioni a cui partecipa e l'euforia per le vittorie giapponesi, benché lui affermi più volte che fosse contrario alla guerra contro gli Stati Uniti, perché li riteneva più forti come apparato economico/industriale. Nelle cronache delle battaglia a cui partecipa, o di cui racconta senza avervi partecipato, molte sono le critiche mosse contro l'alto comando giapponese, per le scelte tattico/strategiche errate. Non critiche filosofiche, ma contestazioni su singoli ordini o sull'affidamento di comandi ad ufficiali non abituati al combattimento in mare.
Dato che Hara partecipò, tra le tante, alla battaglia del mar di Giava il 26/27 febbraio 1942, c'è un intero paragrafo che la rievoca.

Parte terza: La “Tokyo Express”

Hara narra ciò che vide della battaglia delle Midway, a cui partecipò solo in minima parte, il libro contiene i comunicati radio arrivati alla sua nave, e i suoi commenti sugli errori della marina imperiale.
Il capitolo s'intitola “La Tokyo Express” perché gli americani così battezzarono il lavoro svolto dalle cacciatorpediniere giapponesi che imbarcavano sia soldati che approvvigionamenti, trasformando queste navi da battaglia in cargo. Questo perché uno dei punti deboli giapponesi erano i rifornimenti, con una cronica scarsità di navi da carico.
Hara racconta la sua partecipazione diretta al tentativo giapponese di riconquistare Guadalcanal nell'agosto 1942. Sono presenti le critiche dettagliate all'operato dell'ammiraglio Yamamoto, l'autore afferma che queste sue critiche furono le prime mosse nel dopoguerra da un ex ufficiale della marina.

Parte Quarta: Contro l'impossibile

Hara lasciò il comando della Amatsukaze, danneggiate nelle precedenti battaglie, e venne promosso a capitano di divisione il primo maggio 1943, assumendo il comando della Shigure. L'autore ci tiene a dar conto di tutte le volte che si oppose a dei piani militari poco sensati, atteggiamento che nella marina imperiale era assai inusuale. Comunque, alla fine, anche Hara doveva accettare gli ordini, per quanto chiaramente insensati, dovendo obbedire alla catena burocratica di comando giapponese. Ordini insensati come lo furono quelli della missione di trasporto truppe del 6 agosto 1943 nel mar delle isole Salomone, la battaglia del golfo di Vella, durante la quale tre delle quattro navi della formazione giapponese vennero affondate. Solo la nave di Hara era sopravvissuta, questo perché il suo comandante si era rifiutato di accettare “l'onore” di guidare la formazione, in quanto la sua nave era la più lenta delle quattro. In questo capitolo la nave di Hara è sempre incaricata di missioni di rifornimento truppe oppure di “tenshin”, “avanzate di ritorno”, come il comando giapponese aveva ribattezzato le ritirate.
Alla fine del capitolo Hara viene rimosso dal comando dello Shigure per un incarico a terra, presso la scuola siluranti come istruttore, il 27 novembre 1943.

Parte Quinta: L'ultima sconfitta

Il 10 gennaio 1944 Hara divenne istruttore anziano della scola siluranti di Oppama, ed in seguito spostato in un'altra scuola.
A questo punto Hara racconta un aneddoto molto particolare: nel luglio 1944 era particolarmente frustrato, sia per le sconfitte subite dalla marina imperiale, che per la pochezza di mezzi che aveva per istruire i suoi allievi. Al culmine di questo stato emotivo scrisse una petizione all'imperatore affinché ponesse fine alla guerra, prese il primo treno per Tokyo e si recò al ministero della marina, dove incontrò casualmente il contrammiraglio principe Takamatsu, fratello di Hirohito. Gli chiese un colloqui privato e gli consegnò la sua petizione, questi la lesse, la mise in tasca e disse ad Hara di star tranquillo. Hara non seppe mai se il principe Takamatsu consegnò la petizione all'imperatore, di certo si rese conto che questi non ne fece parola con gli altri altri ufficiali della marina, altrimenti Hara sarebbe stato condannato a morte per alto tradimento.
L'autore scrive che in seguito si pentì di quel suo gesto, perché l'imperatore non aveva il potere di porre fine alla guerra, anche se è lui stesso a rendersi conto che nel febbraio 1936 e nell'agosto del 1945 Hirohito, invece, intervenne in prima persona.
Hare racconta del mutamento dello scopo della sua scuola di addestramento, che iniziò a fare corsi per kamikaze, esprimendo contrarietà per questa tattica che sacrificava inutilmente soldati, marinai ed aviatori, ma alla fine accettò l'idea che un soldato potesse volontariamente sacrificarsi per la patria. Agli allievi fu sottoposta la scelta volontaria di quale corso scegliere, kamikaze o corso normale di addestramento. Dei 400 allievi del suo corso in 200 scelsero il corso normale (non suicida). In 150 quello delle torpediniere kamikaze, chiamate “Shinyo”, “terrore dell'oceano”, anche se di terrificante per il nemico avevano ben poco, essendo fatte per lo più in legno e montando motori di automobili. In 50 scelsero il corso degli uomini-rana, “fukuryu” (drago nuotante), in cui gli uomini in immersione dovevano camminare sul fondo e piazzare esplosivo sotto le navi nemiche, praticamente altri kamikaze.
Nel dicembre del 1944 Hara torna in servizio attivo sull'incrociatore leggero Yahagi. Hara prosegue nel criticare l'operato degli uomini dell'alto comando militare. Gli americani avevano invaso Okinawa, Hara e tutte le navi della flotta imperiale, compresa la super corazzata Yamato, si apprestavano ad una missione suicida per rallentare l'avanzata Usa: l'operazione Ten-go.
E' dato largo spazio alla comunicazione degli ordini riguardanti la missione Ten-go, ai suoi preparativi, allo stato d'animo di Hara e degli altri comandanti, fino alla partenza.
Vine fatta la cronaca dettagliata della partenza del convoglio fino al momento in cui gli aerei Usa avvistarono la Yamato e le altre navi affondandole praticamente tutte. Era il 7 aprile 1945, ed il racconto di Hara si conclude nel punto in cui era iniziato nel prologo.


2 commenti:

  1. grazie per la recensione mi chiedevo proprio se questa fosse una riedizione di "per un milione di morti" oppure no. Per le imprecisioni storiche non ti crucciare, basta leggere un qualunque volume della osprey o leggere i tanti tweet dedicati alla seconda guerra mondiale per capire che gli americani (e mica solo loro) riscrivono la storia anche adesso.
    Sarebbe interssante avere la traduzione direttamente dalla versione Giapponese, come poi del 90% della letteratura orientale

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    1. Prego, mi fa piare leggere che una mia recensione, con tutti i limiti che queste hanno, su un libro serio sia stata di un qualche aiuto ;)

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