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venerdì 18 aprile 2014

La volontaria reclusione, Italia e Giappone: un legame inquietante



TITOLO: La volontaria reclusione, Italia e Giappone: un legame inquietante
AUTORE: Carla Ricci
CASA EDITRICE: Aracne Editrice
PAGINE: 217
COSTO: 12 €
ANNO: 2014
FORMATO: 25 cm X 17 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di Milano
CODICE ISBN: 9788854869264


Questo è il quarto libro di Carla Ricci sul fenomeno hikikomori e sugli hikikomori: 

E' stata l'autrice a far scoprire tale problematica ai lettori italiani, un disagio (non solo giovanile) che si pensava essere prettamente nipponico, mentre ci si sta accorgendo che sta proliferando in altre nazioni (asiatiche ed occidentali), tra cui l'Italia. Carla Ricci svolge i suoi studi sugli hikikomori direttamente in Giappone da circa sei anni, durante i quali è riuscita ad instaurare un proficuo scambio accademico con i medici giapponesi.
Questo suo quarto libro inizia con l'illustrare la situazione giapponese, per poi spostarsi in Italia, terminando l'analisi con una comparazione tra i due paesi.
Da notare che in queste prime righe non mi sono riferito al libro di Carla Ricci come “nuovo”, infatti non è possibile scrivere “il nuovo libro di Carla Ricci”, perché di nuovo ha ben poco.
Purtroppo il contenuto del libro non è quello che io mi aspettavo in una pubblicazione del 2014, essendo il suo primo libro del 2008 immaginavo, errando, che in questo l'autrice fornisse gli sviluppi attuali riguardanti hikikomori in Giappone e in Italia.
Invece in gran parte è un bel riciclone degli scritti precedenti, alcuni ormai assai datati (2008 e 2009), con l'aggravante che erano già stati ripubblicati estratti dei primi due libri nei suoi successivi lavori (e pure in un terzo libro ad opera di un'altra autrice! "Hikikomori e adolescenza" ), quindi, in realtà, siamo al riciclo del riciclo...
Di certo ci saranno sue considerazioni recenti, però basate su racconti e testimonianze vecchie, che ormai, dopo averle lette più volte, conosco quasi a memoria. Tra l'altro nel libro è la stessa autrice ad avvertire il lettore che sta leggendo estratti da suoi libri precedenti, un po' la sagra dell'auto-“copia ed incolla”...
A questo punto, a mio avviso, la discriminate per l'acquisto del libro è l'aver letto o meno i precedenti libri della Ricci. Se il fenomeno hikikomori risulta esservi nuovo, il libro mantiene un suo valore informativo, anche se personalmente consiglierei di leggere i suoi primi due saggi, più esaustivi, in quanto in questo ci sono solo degli estratti delle testimonianze degli hikikomori. Se i tre libri precedenti a questo sono già stati leggi, allora vi assalirà un fastidiosa sensazione e sorgeranno un certo numero di dubbi.
La sensazione è quella di essere stati turlupinati. Come ho già scritto sopra, se si acquista un libro nel 2014 di un'autrice che ha già trattato nei precedenti scritti il medesimo argomento è abbastanza ovvio dare per scontato che si leggeranno le novità inerenti quell'argomento. Quando ci si accorge che si sta leggendo una sequela di estratti dei precedenti saggi, si inizia a domandarsi perché si sian spesi altri 12 euro invece di rileggere gratuitamente i libri che avevi già pagato...
Inoltre, a questo punto, nel recensire questo “nuovo” libro della Ricci potrei, anch'io, riciclare le vecchie recensioni, con l'attenuante che gli eventualissimi lettori non avrebbero pagato nulla.
Altri dubbi sorgono sulla vastità del fenomeno hikikomori.
Perché l'autrice, vista l'ampia casistica e la sua lunga permanenza in Giappone per studiare la problematica, non riesce a presentarci nuove testimonianze? Oppure, più semplicemente, la prosecuzione delle testimonianze già raccontate, sarebbe stato comunque interessante.
Avendo letto anche altre fonti ritengo che la gravità del fenomeno hikikomori in Giappone sia veritiera, ergo ci si ritrova semplicemente di fronte ad una strategia editoriale per vendere nuovi libri sfruttando vecchie analisi.
Un altro dubbio sorge sull'estendersi degli hikikomori anche in Italia, visto che secondo l'autrice il contagio parrebbe esteso e veloce, perché i casi italici presentati sono quelli dei precedenti libri?
Comprendo bene che un/una hikikomori non raccontano spontaneamente la loro situazione, in fondo se hanno deciso di tagliare i ponti con la società è ovvio che non vogliano spiegarne le motivazioni, però ci restano sia i terapeuti giapponesi (ed italiani) che le famiglie degli hikikomori da cui attingere qualche nuova informazione.
Esternate tutte le mie perplessità sul senso editoriale di questa pubblicazione, non sui suoi contenuti (che ritengo validi in quanto sono i medesimo dei libri precedenti...), cercherò comunque di illustrarne i capitoli (ribadendo le mie obbiezioni).
Capitolo 1: Hikikomori in Giappone.
Sono analizzati i concetti di “amae” e della “struttura di amae” (viene citato in merito il saggio di Takeo Doi "Anatomia della dipendenza" ) come cause iniziali/scatenanti dell'autoreclusione.
Per introdurre il lettore alla questione hikikomori viene riepilogato come i primi studiosi giapponesi abbiano scoperto il fenomeno all'inizio degli anni 80.
Inserisco schematicamente alcuni dati (non recenti, presi dai precedenti saggi) e considerazioni generali sugli hikikomori che l'autrice approfondisce nel libro:
circa l'80% degli hikikomori vive in una famiglia in cui il concetto di amae è molto forte;
il soggetto è un maschio, spesso primogenito di una famiglia benestante;
le donne sono minoritarie, circa una su quattro; l'età media è dai 18 anni ai 27, in aumento (fra i 30 e i 40 anni);
un hikikomori su 5 ha comportamenti violenti verso i famigliari (in particolare la madre) da cui dipende;
gran parte degli hikikomori ha subito atti di bullismo in giovane età, la cui prima conseguenza è il rifiuto scolastico (90% degli hikikomori);
anche la crisi economica ha spinto adulti a fare hikikomori dopo aver perduto il lavoro;
tutti gli studiosi concordano che hikikomori non è causato da problemi psichici (che poi nascono a causa dell'autoreclusione);
una delle cause è il rapporto di eccessiva dipendenza tra madre e figlio, sommato all'assenza della figura paterna (in quanto sempre a lavoro).
L'assenza lavorativa del padre causa il rafforzamento degli obblighi del figlio, e quindi delle pressioni, in quanto il ragazzo apprende in famiglia quanto in futuro sarà alto il sacrificio che il suo ruolo di uomo adulto richiederà. Contemporaneamente l'assenza del padre rafforza il legame madre-figlio.
Un terapeuta di hikikomori, Takeshi Watanabe, spiega che gli hikikomori illustrano la loro situazione con tre immagini mentali:
“ansietà per non sapere la giusta direzione da prendere; rabbia per non essere capito; senso di colpa per non avere giustificazioni e per non essere capaci di scusarsi per quello che si sta facendo”.
Queste due righe sono prese direttamente dal libro della Ricci (pagina 21), che le riprende dal suo libro del 2009.
E' analizzato il contesto socio-culturale giapponese, il concetto di amae, quale ruolo abbiano in Giappone le emozioni di orgoglio e vergogna. Orgoglio e vergogna parrebbero essere le due cause dei nuovi hikikomori, cioè gli adulti che perdono il lavoro.
Sono valutati i rapporti all'interno della famiglia giapponese, che possono portare il figlio a fare hikikomori: presenza materna; assenza paterna; legame madre-figlio.
Tutto il capitolo è affrontato facendo capo a situazioni famigliari già illustrate nei libri della Ricci del 2008 e 2009. Possibile che dal 2009 al 2013 non sia stato possibile fare nuovo interviste?

Capitolo 2: Hikikomori in Italia
Si passa alla situazione italiana, dove, inizialmente, la problematica hikikomori non era conosciuta, ma dopo alcuni servizi giornalistici (e i libri dell'autrice) molte famiglie hanno iniziato a chiedere aiuto ai centri psichiatrici pubblici o privati. Ovviamente gli addetti ai lavori non erano preparati ad affrontare una problematica già esistente in Giappone. Ci si accorse che gli hikikomori italiani si confacevano al modello giapponese adottato per confermare l'effettivo stato di hikikomori:
autoreclusione da un periodo di almeno sei mesi;
fobia scolastica precedente all'inizio del ritiro;
dipendenza da internet (gli hikikomori nipponici non sono tutti dipendenti dal web);
inversione del ciclo circadiano.
Furono notate due caratteristiche non presenti negli hikikomori italiani rispetto ai quelli giapponesi:
forte timidezza del giovane autorecluso;
violenza pratica dagli hikikomori verso i genitori.
Nelle prime analisi del fenomeno italiano si è notato che l'hikikomori, di solito con un'acuta intelligenza, abbia deciso di autorecludersi semplicemente perché, dopo aver analizzato se stesso e la società italiana, ritiene che per lui non vi sia posto. Lui ci ha provato, ma per vari motivi (scuola, compagni di classe, amici, mode) ha raggiunto la convinzione che il proprio posto giusto sia la propria stanza. La sanità pubblica italiana è organizzata per assistere giovani con problematiche di tossicodipendenza, non ragazzi che in gran parte sono persone psicologicamente sane, che decidono l'autoreclusione volontaria.
In Giappone la terapia più diffusa è quella domiciliare, anche perché un hikikomori rifiuta di uscire di casa per recarsi da un terapeuta. L''autrice analizza quanto la terapia domiciliare sia efficace, soprattutto fattibile, nel nostro paese.
Oltre al supporto dei genitori, che non devono pretendere dal terapeuta risultati nel breve/medio periodo, il medico deve riuscire ad instaurare un rapporta di fiducia con il paziente, che non deve vederlo come colui che lo obbligherà ad uscire dalla sua stanza, ma come una persona che gli è vicino emotivamente. La terapia domiciliare ha anche il pregio di permettere al terapeuta di valutare i comportamenti della famiglia, il reale grado di autoreclusione dell'hikikomori, ed alcuni importanti indizi su come egli viva (arredamento, ordine, pulizia, illuminazione etc).
Mentre in Giappone è prassi l'uso anche di psicofarmaci, pare che in Italia i terapeuti tendano ad evitarli, per non somministrare farmaci inadeguati ad una problematica che non è prettamente derivata da una malattia psichica. Messi da parte gli psicofarmaci, l'approccio verso un hikikomori dovrà essere gentile, paziente e determinato.
Sono riportate alcune testimonianze di terapisti italiani, soffermandosi sulle casistiche in cui i genitori tendono a non collaborare, in quanto non riconoscono una loro eventuale responsabilità nel comportamento del figlio, addebitandola in toto al ragazzo.
A questo punto viene operata una suddivisione di carattere geografico del fenomeno hikikomori in Italia, tra sud e nord. Dato che la stessa autrice ammette che non ci sono dati statistici in merito, mi è parso che alcuni punti che lei illustra siano un po' scontati:
al nord c'è più ricchezza, meno degrado sociale, meno criminalità, meno uso di droghe; al sud tutto il contrario del nord.
Come al solito dipende dove si abita, ci sono periferie di città del nord Italia che sono degradate, con famiglie povere. Poi è ovvio che una famiglia ricca possa permettersi un terapeuta privato per diversi anni, mentre dei normali “poveracci” non possano, ma questo vale per tutte i problemi di salute: se sei ricco ti curi meglio che se sei povero...
Anche questo capitolo è composto da testimonianze e da sue analisi prese dai libri precedenti, un altro bel riciclone. In più sono inseriti in forma parziale i casi (solo due!) già riportati nel (pessimo, a mio avviso) saggio di Giuliana Sagliocco sugli hikikomori ( Hikikomori e adolescenza ).
La mia domanda è sempre la stessa: perché devo pagare nuovamente per leggere cose che avevo già pagato per leggere in un altro libro?

Capitolo 3: Hikikomori in Italia e Giappone: una condivisione formativa
L'autrice analizza le peculiarità degli hikikomori italiani comparati a quelli giapponesi, sono valutate le differenze e le affinità, anche con un approfondimento storico, sociale e culturale (che comunque è veramente minimo).
Il mio unico dubbio concerne su quali dati siano fatte queste analisi, sono i medesimi presentati in questo saggio, già pubblicati nei precedenti della Ricci, ergo vecchi di qualche anno?
Riporto schematicamente i 10 punti individuati dalla Ricci riguardo “differenze ed affinità”:
Gli hikikomori italiani sono più giovani di quelli giapponesi;
Fra gli hikikomori italiani pare non ci siano casi di ritardi o disordini mentali;
Tutti gli hikikomori italiani sono dipendenti da internet, non così in Giappone;
Gli hikikomori italiani pare non siano violenti con i genitori;
In entrambe le nazioni gli hikikomori rifiutano di sottoporsi ad una qualsiasi terapia;
In Giappone è solitamente il figlio unico o il primogenito che fa hikikomori, in Italia no;
Il ritmo circadiano è invertito dagli hikikomori di entrambi i paesi;
Come in Giappone anche in Italia il nucleo famigliare dell'hikikomori è di una classe sociale medio-alta;
In Italia le donne hikikomori sono una rarità;
Gli hikikomori italiani non provano un particolare senso di colpa per essersi autoreclusi, a differenza di quelli giapponesi.

Anche la famiglia e il rapporto madre/figlio è un elemento comune tra gli hikikomori italiani e giapponesi, in entrambe le nazioni si riscontra:
i genitori non sono violenti contro il figlio hikikomori; i genitori (o la madre) sono iperprotettivi; la figura materna marginalizza quella paterna.
Ci si sofferma sul disagio emotivo/psichico che le nostre società dei consumi possono portare agli individui più sensibili, trasmettendo loro un vuoto di valori.
E' toccato superficialmente l'argomento della dipendenza dai videogiochi, si capisce che l'autrice non abbia mai videogiocato, infatti se ne esce con una considerazione che mi è parsa un po' assurda. Secondo la Ricci un videogiocatore vedrebbe influenzata la fiducia in se stesso dal riuscire o meno a finire un gioco, evidentemente l'autrice non ha mai sentito parlare dei “continue”, dei “save point”, dei trucchetti per finire un gioco e delle guide on line.
Immagino che esisteranno anche casi di questo genere, ma è assai arduo considerarli la norma.
Molto curioso il terzo paragrafo di questo terzo capitolo, che ha questo titolo:
“Gli hikikomori italiani e i manga giapponesi”.
Scrivere “manga giapponesi” è già, a mio avviso, l'emblema di quanto l'autrice conosca questo ambito, è come se si scrivesse “nouvelle cousine francese”... Esistono i manga americani? La parola “manga” identifica già il paese d'origine, oltre allo stile e ai numerosi contenuti.
Nella prima riga del paragrafo si può leggere un bel “anime giapponesi”, ma, di nuovo, il termine “anime” per un occidentale identifica già che sono giapponesi.
Il paragrafo si focalizza sulla dipendenza dagli “anime e manga giapponesi(!!)” da parte degli hikikomori italiani.
Alla fine la colpa è sempre di videogiochi, anime e manga (ma i fumetti in generale, fin dagli anni 50...).
Secondo l'autrice gli hikikomori italiani (tutti? Una parte? Una minoranza?) considererebbero quelli giapponesi come degli esempi da seguire, portatori di uno stile di vita da imitare, in quanto giovani samurai che contestano la società nipponica.
Sono riportate due (dico, solo due...) testimonianze scritte personali, In quella più lunga l'hikikomori italiano racconta il proprio rapporto con gli anime, in particolare Neon Genesis Evangelion, che lo avrebbe spinto all'autoreclusione. Peccato che Hideaki Anno con quella serie voleva trasmettere proprio il messaggio contrario: ragazzi (giapponesi) uscite di casa, questi sono solo cartoni animati!”.
Ovviamente anche questa lunga testimonianza di un hikikomori italiano, che a quanto pare dovrebbe avere valore per tutti gli hikikomori italiani, è presa dai precedenti libri della Ricci...
In questo capitolo viene illustrato il ruolo della “sorella maggiore in affitto” nella terapia con gli hikikomori. Questa figura terapeutica, incarnata non da una professionista, nasce in Giappone, ma si è dimostrata utile anche in Italia, seppure in forme un po' differenti, infatti da noi è svolta anche da uomini, e sono comunque sempre neo laureati in campi del settore.
Le testimonianze giapponesi di “sorelle maggiori in affitto” si rifanno ai precedenti libri della Ricci.

Capitolo 4: L'involontaria imitazione fra le persone e la sua possibile influenza in hikikomori
Il capitolo spiega quanto ciò che ci circonda ci influenzi psicologicamente, entrando nel particolare della funzione dei “neuroni specchio” e del “contagio emotivo”.
Purtroppo anche, e aggiungo, di nuovo(...) questo quarto capitolo è un estratto del suo libro del 2012 ( La solitudine liberata ).
L'autrice spiega il concetto di “senso di non-senso”, cioè una assenza di scopi e valori, sostituiti da bene materiale e virtuali (web, videogiochi, anime), che possono portare all'autoreclusione.
Inutile dirsi che anche questa parte è presa dal suo libro del 2012, ma non faceva prima a ristamparlo?!
Nelle conclusioni finale del saggio si cerca di dare una possibile soluzione alla problematica hikikomori, che può risolversi solo con un cambiamento all'interno della famiglia, il nucleo sociale più vicino ad un hikikomori.

L'indice del libro.





La quarta di copertina.




2 commenti:

  1. Grazie mille, esplicativa, esauriente e dettagliata. Utilissima

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    1. Ti ringrazio tantissimo dei complimenti!!! ^_^
      Di solito le mie rece dei libri jappo non se le fila nessuno T_T

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