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domenica 26 maggio 2013

L'esercito dell'Imperatore, storia dei crimini di guerra giapponesi dal 1937-1945







 
TITOLO: L'esercito dell'Imperatore, storia dei crimini di guerra giapponesi dal 1937-1945
AUTORE: Jean-Louis Margolin
CASA EDITRICE: Lindau
PAGINE: 627
COSTO: 32€
ANNO: 2009
FORMATO: 21 cm X 14 cm
REPERIBILITA': Raro nelle librerie di Milano
CODICE ISBN: 9788871808079

Il saggio è molto approfondito e pare essere abbastanza obbiettivo (benché io non sia ovviamente uno storico), in quanto evidenzia anche aspetti non negativi dell'occupazione nipponica (seppur esigui rispetto agli orrori), oltre a smentire altri libri che furono più esasperati nel calcolare il numero delle vittime dei giapponesi. Uno per tutti “Lo stupro di Nanchino” (che posterò di seguito), che secondo l'autore ha un'impronta poco obbiettiva, forse dovuta alle origini cinesi dell'autrice statunitense.
Alla fine del 1800 e all'inizio del 1900 i soldati giapponesi non erano spietati con i nemici, né uccidevano i prigionieri, neppure erano portati al suicidio piuttosto che alla resa. Durante il conflitto russo-giapponese il trattamento dei prigionieri russi fu ottimo, e i soldati giapponesi che furono presi prigionieri al loro rientro in patria furono ben accolti. Quindi non era ancora considerata un'onta essere catturati o sconfitti. Comunque nello stesso periodo ci furono massacri nelle guerre di conquista della Corea, forse i giapponesi ci tenevano a far bella figura con le nazioni europee, mentre i coreani erano considerati solo come popolazioni da colonizzare senza pietà.


Negli anni successivi il saldarsi della deicizzazione dell'Imperatore con il militarismo pose le basi per la trasformazione del cittadino e soldato giapponese in una inumana (e priva di senso di colpa) arma di sterminio. Il nemico, anche civile, non meritava rispetto, il nemico vinto ancor meno. Inoltre alla popolazione venne inculcato il principio che piuttosto che la resa era meglio la morte. Su questo punto fa riflettere il fatto che alla vigilia dell'imminente invasione statunitense in alcune isole giapponesi la popolazione civile si suicidò, talvolta fu obbligata dagli stessi soldati giapponesi. In parte perché i civili temevano (dopo anni di propaganda) che i soldati americani si sarebbero abbandonati a qualsiasi efferatezza (come d'altronde facevano quelli giapponesi), in parte proprio per la vergogna della sconfitta.
Fin dalle scuole veniva impartito un insegnamento militare da ufficiali dell'esercito, l'indottrinamento e il fanatismo nazionalista e militare avrebbe dato i suoi frutti. Avere soldati che obbedivano ciecamente, questo era lo scopo dei militari e dell'Imperatore. Il nonnismo in caserma verso le reclute e degli ufficiali verso la truppa furono i 2 strumenti determinanti per creare dei soldati ubbidienti. Si imparava a non avere pietà neppure verso il connazionale, se questi era mancante in qualcosa. Inoltre le svariate punizioni corporali rendevano i soldati aggressivi, aggressività che avrebbero scaricato sui soldati nemici, i prigionieri e i civili, visto che non potevano reagire contro gli ufficiali.
Tramite il principio “Sfera di co-prosperità della grande Asia dell'est” fu possibile far passare l'invasione colonialista giapponese di Corea e Cina come uno sforzo disinteressato per far progredire queste nazioni arretrate. Ancora ai giorni nostri questa è una delle scuse preferite dai negazionisti, ed è presente anche in alcuni libri scolastici.
Il Giappone ottenne nella Prima Guerra mondiale, dove era alleata della Gran Bretagna, il massimo guadagno (territoriale e di produzione industriale) col minimo sforzo (militare ed economico), cosicché i giapponesi si illusero che le guerre fossero un vantaggio economico. In più avevano vinto ben 3 conflitti consecutivi (seppur minori), quindi credettero di essere invincibili.
La quintessenza dell'educazione militare è la promozione di un'attività di patriottismo e di martirio patriottico. Essa ha il compito di rendere il popolo pronto a morire per l'Imperatore in qualunque momento. Il nostro scopo è insegnare al popolo a pensare che dev'essere pronto a morire per l'Imperatore [...]. L'educazione scolastica, da parte sua, comporta totale obbedienza all'Imperatore e un atteggiamento di assoluta devozione nei suoi confronti
Regolamento della scuola nazionale di Togane, prefettura di Chiba, 1942.
In tutto il periodo pre-bellico e bellico la popolazione non ha subito particolari coercizioni da parte dello Stato, proprio perché non esistevano organizzazioni di cittadini che contestassero il governo (come, invece, successe in Italia), men che meno il Tenno. Furono indette sempre le elezioni, anche negli ultimi 2 anni di guerra, venivano anche eletti politici non irregimentati, ma neppure questi si opponevano allo status quo. A parte il partito comunista giapponese che venne sciolto nel 1928, contro chiunque faceva o poteva fare opposizione venne creata la “polizia del pensiero” e i “pubblici ministeri del pensiero”, che indagava ed incriminava chi aveva “pensieri pericoloso” per la quiete e l'armonia della nazione. Gli indiziati e condannati, però, non sempre venivano imprigionati, mai uccisi, se abiuravano le proprie idee erano subito rilasciati. In questo modo il regime riusciva, non solo ad eliminare gli oppositori, ma a trasformarli in fiancheggiatori! Al momento della capitolazione nelle carceri non c'erano neppure 3000 prigionieri politici e ne fu condannato a morte uno solo. La relativa poca violenza sul fronte interno era controbilanciata dalla spietatezza fuori dal Giappone. Verso le popolazioni assoggettate i militari giapponesi nutrivano il totale disprezzo dovuto dal considerarsi una razza superiore. Verso i nemici prigionieri la violenza nasceva dal disprezzo nei confronti dei vinti. Ovviamente i soldati nemici non si suicidavano, preferivano la resa, ma per i giapponesi diventavano così dei vili che non meritavano alcun rispetto. La resa non era considerata dai vertici militari giapponesi, tanto che molti soldati perirono per la mancanza di piani di fuga. Il solo piano valido era quello di attaccare, in quest'ottica anche gli approvvigionamenti erano considerati secondari. Sovente i soldati giapponesi si ritrovavano senza munizioni, ma ancor peggio, senza vettovaglie. Dopo aver razionato tutto il possibile dai civili, i militari giapponesi si affidavano al cannibalismo. Il cannibalismo divenne una pratica nota, furono i soldati australiani a subirne maggiormente la pratica, tanto che per rappresaglia non facevano più prigionieri giapponesi, li uccidevano tutti.
I Kamikaze facevano parte del corpo speciale d'attacco Tokkotai. Ufficialmente gli aerei impiegati in attacchi kamikaze furono 2571 (ma altre fonti arrivano a 1000). All'inizio i kamikaze sorpresero gli americani, ma dopo poco la loro efficacia crollò. Per affondare una nave USA c'era bisogno di 50 velivoli kamikaze! In parte l'attacco kamikaze, seppur inefficace, rimaneva l'unico modo di usare gli aerei, la mancanza di gasolio, di munizioni, di pezzi di ricambio e di piloti esperti li rendeva inabili al normale uso bellico. I generali e i governanti giapponesi erano favorevoli così tanto ai kamikaze che ne avevano preparati di vario genere, dalle barche ai semplici civili o soldati che fingevano di arrendersi e poi si facevano esplodere con una granata.
La guerra in Cina per i giapponesi non era una guerra, ma un “incidente”, quindi non esistevano prigionieri di guerra. Nessun obbligo(ammesso che i giapponesi ne dimostrarono mai...) verso i catturati, tutti sterminati. Uno degli episodi più terribili in Cina fu la presa di Nanchino (1937), alcune stime arrivano fino a 200/300 mila civili (donne, bambini e vecchi), una più attendibile “solo” su 100 mila. L'olocausto di Nanchino è ben documentato, quindi è difficile il negazionismo, perché in città c'erano le ambasciate occidentali. Tutti gli occidentali ne scrivevano, anche sui giornali (dei loro paesi), tenevano diari, raccoglievano testimonianze. Inoltre i civili delle ambasciate cercarono in ogni modo di aiutare (inutilmente) la popolazione cinese. I giapponesi a Nanchino (ed i seguito negli altri territori occupati) non si accontentavano di uccidere, ma prima mutilavano, affamavano e violentavano i civili, alla fine li uccidevano coi fucili o le mitragliatrici, con la baionetta e li decapitavano con le spade. La spietatezza verso i cinesi era dovuta a varie cause. Il razzismo, ma anche, incredibilmente, al fatto che i soldati cinesi non si arresero subito, anzi, nonostante 150 mila perdite (contro le sole 9000 giapponesi) continuavano a difendersi. Questo rese furiosi i giapponesi. Inoltre gli approvvigionamenti non erano considerati importanti dai vertici militari giapponesi, quindi le truppe d'invasione si ritrovavano spesso a corto di cibo. Gli ufficiali perciò, anche per “spronare” i soldati, promettevano che appena avessero “conquistato” un villaggio avrebbero potuto far ciò che volevano, anche verso le donne (di qualsiasi età). I tutta la Cina i soldati giapponesi usavano cinesi VIVI per esercitazioni con la baionetta, oppure gli ufficiali facevano gare a chi decapitava più teste. Non meno atroci furono i massacri, pianificati, al momento della conquista di Singapore, mentre fu la ritirata giapponese a provocare i 100 mila civili morti a Manila. Agli occhi dei soldati giapponesi i civili cinesi compievano un peccato molto grave per il confucianesimo, “l'insincerità”. Il fatto che i cinesi scappassero appena vedevano i giapponesi li autorizzava ad ucciderli, in quanto, evidentemente, dimostravano di nascondere o tramare qualcosa fuggendo. Lo stesso schema che si vide in Cina negli anni 30 fu ripetuto durante l'invasione del pacifico, nelle Indie olandesi, Borneo, Sumatra, Nuova Guinea, Nuova Irlanda, Guam, Isole Marshal, Isole Andamane. Nella sola Cina per operazioni punitive, chiamate Sanko, almeno 2,7 milioni di civili furono uccisi, nelle Filippine un milione di civili, altrettanti in Indonesia.
L'Unità 731 è emblematica delle atrocità perpetrate, come i nazisti, anche i giapponesi fecero esperimenti su cavie umane con gas e batteri oppure con esperimenti assurdi ed allucinanti, ma i medici giapponesi non furono mai puniti da nessun tribunale. Questo perché gli USA posero il segreto sui loro esperimenti pensando che sarebbero potuti tornare utili (come lo erano stati gli scienziati nazisti) contro l'URSS, ma si resero conto che erano più avanzati dei giapponesi, in più molti di quegli esperimenti erano puro sadismo.
Il trattamento dei soldati prigionieri di guerra fu un altro tassello della crudeltà (molto spesso assolutamente gratuita) nipponica. Il Giappone non aveva firmato la Convenzione di Ginevra, ma aveva partecipato alla sua stesura, quindi la conosceva bene. Comunque aveva firmato la Convenzione dell'Aia nel 1907. Nonostante ciò i prigionieri venivano obbligati a lavorare fino alla morte, affamati, ovviamente non curati, condannanti a morte in caso di fuga e subivano le marce della morte. In Germania il tasso di decessi dei soldato prigionieri occidentali (quelli dell'Europa dell'est venivano sterminati) fu del 4%, i giapponesi arrivarono al 27%. Non sono considerati nella statistica i prigionieri cinesi, che venivano tutti uccisi. I campi di lavoro erano così duri che i soldati prigionieri arrivavano fino a farsi amputare gli arti dai commilitoni pur di avere un periodo di esenzione dal lavoro forzato. Il famosi film “Il ponte sul fiume Kwai” può considerarsi tranquillamente un film di pura fantasia, nulla della trama corrisponde alle reali condizioni dei prigionieri i qualunque campo di lavoro giapponese.
I 140 mila prigionieri civili furono poco meno numerosi di quelli militari, in gran parte donne e bambini, ma subirono atrocità e decessi simili ai militari. L'unica differenza era che non erano impiegati nei campi di lavoro.
Nei territori conquistati i giapponesi razziavano qualunque bene materiale dei civili, oltre al cibo. Durante le avanzate non erano stati previsti rifornimenti alimentari, gli ordini superiori prevedevano di razziare ciò che si necessitava. Inoltre le autorità militari giapponesi imposero la confisca, nei casi più fortunati la sola tassazione, dei raccolti. Generando numerose carestie.
I lavoratori forzati delle zone conquistate erano chiamati dai giapponesi “Romusha” (lavoratore in giapponese), in realtà erano schiavi. I romusha subirono perdite 5 volte superiori a quelle dei militari prigionieri a causa della denutrizione, dell'assenza di cure, delle uccisioni da parte dei militari giapponesi e dal lavoro forzato fino alla morte per sfinimento.
Le Ianfu (prevalentemente coreane), “donne di conforto”, furono uno degli altri orrori dei giapponesi, in questo aiutati dai connazionali delle ianfu, che si lanciarono nel traffico e nella gestione della prostituzione. Fino al 1992 il governo giapponese cercò di negare che le ianfu furono istituite dai vertici militari, con l'appoggio dei politici, per evitare di dover risarcire le vittime. Le ianfu assegnate ad un plotone dovevano seguirlo durante gli avanzamenti, lasciandole così esposte alla morte in battaglia.
I governi fantoccio cinesi avevano un solo mezzo per far cassa, l'oppio. Prima dell'invasione giapponese il consumo di oppio era crollato grazie alla severa repressione del Guomindang e a 30 anni di educazione contro la droga. Quindi i giapponesi permisero (anche se ufficialmente erano contro l'oppio) il traffico e il consumo libero dell'oppio. Non solo, l'eroina, che era quasi sconosciuta (e considerata illegale, a differenza dell'oppio) per i suoi alti costi al consumo, divenne a buon mercato e iniziò a far concorrenza all'oppio. Nella produzione e traffico dell'oppio erano coinvolto l'esercito e anche i zaibatsu giapponesi, come le importante aziende tipo la Matsui e la Mitsubishi.
Il discorso alla radio che il Tenno fece per accettare la resa agli americani non conteneva la parola “capitolazione” ne critiche all'imperialismo o ai crimini giapponesi, ciò permise la nascita di un revisionismo storico giapponese, che esiste tutt'ora.
Alla fine della guerra il Giappone subì 2 milioni di morti, dei quali 400 mila civili (200 mila nei bombardamenti atomici). Quasi 600 mila prigionieri di guerra, di questi il 15% perì nei campi di prigionia (sovietici e cinesi). 3 milioni di civili dovevano rientrare dai i paesi colonizzati. Il 40% delle città aveva subito gravi distruzioni. Nel paese c'era una carestia terribile, creata dagli anni di guerra e razionamento per supportare lo sforzo bellico. L'esercito fu sciolto immediatamente, dall'amministrazione e il mondo degli affari furono purgate circa 200 mila persone coinvolte col regime militarista. Il 22% degli insegnanti, spesso ultra nazionalisti, dovette cambiare mestiere.
Il processo ai criminali di guerra giapponesi fu considerato da tutti un procedimento legalmente corretto. Furono comminate solo 7 condanne a morte (tra gli imputati di classe A, quelli che avevano commesso i reati più gravi), cosa che sorprese grandemente la popolazione. Ci furono molto processi in tutte le nazioni occupate, tutti regolari e neppure troppo severi, viste le atrocità commesse dai giapponesi. Ma tutti questi erano processi svolti dagli “stranieri”, per i giapponesi queste condanne non erano “vergognose”. MacArthur obbligò la corte di Tokyo a non coinvolgere Hirohito, al quale venne concessa l'immunità, la guerra fredda era già iniziata, ed un alleato anticomunista come il Giappone era importante. Già nel 1951 il governo giapponese liberò tutti gli incarcerati a vita per crimini di guerra, diede pensioni agli ex militari condannati per crimini di classe A. A differenza della Germania nessun tribunale giapponese fece mai un processo ai criminali di guerra giapponesi. In più, sempre a differenza della Germania, i libri di scuola del dopo guerra non contenevano nessuna condanna del comportamento giapponese. Oggi i manuali scolastici contengono abbastanza informazioni sui crimini perpetrati dai militari nei paesi colonizzati, ma quasi mai accennano ai lavori forzati, ai Romushua, alle donne di conforto, all'Unità 731.
Il termine che i politici giapponesi usano per “scusarsi” per i loro crimini nei paesi invasi è “hansei”, che in realtà non significa “scusarsi”, ma “riflessione su se stessi”, “autocritica”, il termine è tradotto con “rammarico”, Come il rammarico di aver causato imbarazzo. Questo fatto è emblematico di una certa doppiezza ed insincerità giapponese. Di cui le visite private dei Primi ministri giapponesi al santuario di Yasukumi (dove sono onorate le memorie dei combattenti morti, compresi i criminali di guerra) sono una delle tante prove. Fino al 1994 nel museo della pace di Hiroshima non c'era nessun accenno ai crimini giapponesi, tanto che, se una persona vi fosse giunta ignorando tutto sulla guerra del pacifico, avrebbe potuto pensare che gli ordigni atomici furono sganciati per pura cattiveria.
L'ultimo capitolo cerca trarre qualche considerazione sul comportamento giapponese in guerra. Le atrocità furono generalizzate. Anche il singolo soldato era spietato coi civili o coi prigionieri. Nessuno si rifiutava (come per i tedeschi) mai di eseguire ordini criminali, anche la popolazione civile, quando poté, si comportò spietatamente coi nemici, civili o militari che fossero. L'unica differenza coi nazisti fu la mancanza di un piano di sterminio, i giapponesi sterminavano perché il prossimo non contava.
Alla fine furono 3 i gruppi ai quali si posso ascrivere le colpe della guerra e dei crimini: l'Imperatore e la sua cerchia, i politici e gli alti gradi militari. L'opera di indottrinamento trovò un fertile campo in una popolazione non abituata ad opporsi ai superiori, e che si considerava, e forse si considera tutt'ora, una razza superiore ed eletta.
I benefici che i giapponesi lasciaro in dote ai paesi occupati e distrutti furono ben poche, una fu che invadendo paesi già colonizzati dagli occidentali i giapponesi promisero o prospettarono una certa indipendenza rispetto ai colonialisti. Quando il Giappone fu sconfitto non ci fu più margine per un restaurarsi dei vecchi governi colonialisti. Indonesia, Malesia, Filippine (che comunque avevano già avuto assicurazioni dagli USA sulla loro futura indipendenza), avevano sviluppato dei partiti o movimenti (quasi sempre collaborazionisti dei giapponesi) nazionalisti.
In alcuni paesi il Giappone creò reti elettriche e telefoniche, oltre ad un'industria che sarebbe sopravvissuta agli invasori., come in Corea e a Taiwan.

2 commenti:

  1. ShiLan grazie per il riferimento...è chiaro ora cosa

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    1. Pensavo fosse una qualche battuta ironica per sottolineare un mio errore, e forse lo è.
      Comunque sono stato tentato di cancellare il commento, sembrava spam... e non è detto che io lo faccia coi prossimi...

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